Scultore, formatosi però alla bottega di cesello, Eli Riva nella sua lunga vita lavorativa operò sempre a taglio diretto nella materia, senza abbozzi o disegni preparatori. Per questo si considerava profondamente “erede dei Maestri Comacini”, in virtù del proprio sapere tecnico, e di un rapporto con la storia artistica delle maestranze del territorio che non abbandonò mai.
Alla sapienza tecnica, unì una consapevolezza storico-estetica ricercata con determinazione, che doveva condurlo sempre alla “produzione di immagini inedite”. Partito negli anni Cinquanta da un figurativo essenziale, monumentale, massiccio, dopo aver progressivamente ritrovato una sorta di naturalismo figurale, lo smaterializzò negli anni dell’emergere del movimento “informale” europeo. A partire dalla metà degli anni ’60, si sentì ormai pronto per affrontare la libertà assoluta dell’astrazione. Il Ritratto di Sant’Elia fu realizzato per intima personale affezione ideale nei confronti del visionario architetto scomparso prematuramente. Riva, dopo aver tenuto il busto per alcuni anni nel suo studio si decise a donare l’opera alla Pinacoteca nel 1999. Questo omaggio arrivò a sottolineare la grandezza del valore del pensiero avveniristico di Sant’Elia che rappresentava per Riva la personificazione dell’architetto contemporaneo per antonomasia. Lo ritrasse con l’inseparabile cappello, nel legno che Riva ricevette in eredità da una magnolia che era caduta a Villa Olmo, e alla quale promise che le avrebbe regalato una seconda vita. E così la magnolia tornò a vivere in “Sant’Elia”. (G. Riva)