Glenn Ligon
Nato nel Bronx, New York, USA, nel 1960.
Vive e lavora a New York.
L’effetto delle opere di Glenn Ligon è ottenuto grazie alla ripetizione: sulla tela vengono ripetutamente stampati blocchi di testo, fino a farlo diventare una macchia quasi illeggibile di inchiostro nero. Frasi casuali o familiari possono restare nella testa uscendo dalla galleria. Le parole sono invertite, rovesciate, alterate. La storia si ripete. Ligon affronta le politiche razziali contemporanee e la complessità della soggettività nera in America attraverso una pratica concettuale e basata sul testo. Lavora con diversi mezzi espressivi – fra cui pittura, film e scultura al neon – ma è forse più noto per una serie di dipinti che ha iniziato negli anni ottanta e che presenta frasi in bianco e nero scritte su tela per mezzo di stencil. Di solito sceglie citazioni di molti fra coloro che hanno definito la storia, la letteratura o la cultura pop dei neri americani: la scrittrice e antropologa afroamericana Zora Neale Hurston (1891-1960), l’attore Richard Pryor (1940-2005) o il romanziere e attivista politico francese Jean Genet (1910-1986).
In altre opere presenta documenti storici meno gradevoli: avvisi di ricerca di schiavi fuggiti o trascrizioni di processi. I frammenti di testo vengono scelti e serigrafati su tutta la tela, un procedimento che conferisce loro un maggiore significato oppure rende le frasi arbitrarie mediante la ripetizione. Si tratta di una tecnica che ricorda gli alfabeti riprodotti a stencil di Jasper Johns o gli ironici giochi di parole di Bruce Nauman. A Ligon, come a questi due artisti, interessa usare le parole sia come forme pittoriche, sia per il loro valore culturale.
Ligon ha cominciato a lavorare con la scultura al neon nel 2005, con un pezzo che ha intitolato Warm Broad Glow. Ha preso a prestito il titolo, insieme alla frase “negro sunshine”, dal personaggio di Melanctha in Tre vite di Gertrude Stein (1909): “Rose laughed when she was happy but she had not the wide, abandoned laughter that makes the warm broad glow of negro sunshine” (“Rose rideva quando era contenta, ma non aveva la risata sconfinata e calda tipica dei neri”).
Alla Biennale di Venezia, sulla facciata del Padiglione Centrale, Ligon espone una versione di Senza titolo (Bruise/ Blood/Blues) (2015), un’opera nuova realizzata con tubi fluorescenti dipinti che formano le parole del sottotitolo. Appartiene a una nuova serie di lavori ispirati alle parole di Daniel Hamm, uno degli adolescenti dei cosiddetti Harlem Six, che denunciarono la brutalità della polizia durante la “rivolta del banchetto di frutta” e la ribellione di Harlem del 1964 a New York. Le parole pronunciate da Hamm, in riferimento al proprio sangue – “come out to show them” (uscire per fargli vedere) –, registrate, campionate, ripetute e astratte in Come Out (1966), del compositore minimalista americano Steve Reich, hanno una perfetta affinità per forma e concetto con l’opera visuale di Ligon.
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