Uno spazio di razionalità così rigoroso da debordare verso uno stato di percezione allucinatoria. Una gabbia concettuale fragile e violenta allo stesso tempo, all’interno della quale l’osservatore si dovrà muovere con cautela per non farla collassare, idealmente smarrito tra le linee prospettiche che lo circondano e lo pongono in bilico. Dai solidi platonici, alle planimetrie dei templi classici, dalla sezione aurea alla Rosa dei Venti: tutti esempi di una fascinazione e di un bisogno d’ordine che ha influenzato l’ossatura portante della Storia dell’Arte, dell’Architettura e della società occidentale in genere, poiché le forme generano comportamenti. Basti pensare a un’aiuola spartitraffico, alle linee pedonali e a quelle di un campo sportivo... Queste sono le suggestioni che l’artista ha tradotto in una serie di griglie, di reti, di pitture parietali armoniche in se stesse, e congiuntamente espressioni del vano tentativo di incapsulare un bisogno atavico. Una prigione cristallina che Frigo contemporaneamente evaderà e esorbiterà nella performance eseguita il giorno del vernissage.