Naeem Mohaiemen
Nato a Londra, UK, nel 1969.
Lavora fra Dacca, Bangladesh, e New York, USA .
Utilizzando fra gli altri mezzi espressivi saggi, film e fotografie, Naaem Mohaiemen va alla ricerca di frontiere, di guerre e di un legame di appartenenza fra i due momenti che hanno segnato l’indipendenza del Bangladesh: il 1947, quando divenne Pakistan Orientale, e il 1971 quando divenne Bangladesh. Queste zone contese sono i suoi modelli per una storia globale delle possibilità postcoloniali e del loro rovesciamento. In tale contesto il suo progetto The Young Man Was è una storia in frammenti della sinistra rivoluzionaria degli anni settanta. Fra i capitoli di questo progetto ci sono i film United Red Army (2012) – sul dirottamento, avvenuto nel 1977, del volo 472 della Japan Airlines da parte dell’Armata rossa giapponese, presentato per la prima volta alla 10. Sharjah Biennial – e Afsan’s Long Day (2014) – sulla campagna anti-maoista del 1974 e presentato per la prima volta al Museum of Modern Art di New York. L’ultimo capitolo, Last Man in Dhaka Central (2015), verrà presentato alla Biennale di Venezia.
Last Man ripercorre la tracce di Peter Custers, un accademico olandese che abbandonò gli studi di dottorato per documentare i movimenti della sinistra rivoluzionaria formatisi in Bangladesh dopo il 1971, anno della violenta separazione dal Pakistan. Nel 1975 la nazione venne scossa da due colpi di stato militari e, per finire, da una sollevazione di militari fomentata dalla sinistra. In dicembre, quando anche quest’ultima ribellione fu soffocata, ebbero inizio gli arresti di massa degli attivisti. In quanto leader del Movement for Proletarian Unity – un gruppo che organizzava i contadini senza terra –, Peter fu accusato di “cospirazione contro lo Stato” e finì in carcere insieme ai suoi compagni. Dopo un anno di campagne per la sua liberazione guidate dal governo olandese, fu l’unico membro del gruppo a essere rilasciato ed espulso.
Last Man unisce in sequenza inversa due momenti temporali. Il film comincia alla fine della storia, ovvero nel momento della liberazione di Peter. In una narrazione parallela, guidati dalla voce fuori campo di Peter, i ricordi si dipanano attraverso libri e giornali nella sua casa in Olanda, molto lontana dal Bangladesh del 1975 o di oggi. Un secondo canale audio trasmette il contenuto di un manifesto rivoluzionario scritto da Peter prima dell’arresto. Mentre ascoltiamo le sue parole, interrotte di tanto in tanto dalle domande del regista, cominciano a prendere forma le nostre domande. Quali erano le possibilità di globalizzazione che ispirarono molti a guardare al Terzo Mondo come al luogo di una vittoria socialista decisiva? Che cosa ci permette, utopisticamente, di sperare contro il peso della storia e dell’esperienza? Peter è stato una sorta di John Reed, il giornalista americano che scrisse un resoconto di prima mano della Rivoluzione bolscevica del 1917 negli ultimi momenti di libertà prima del cosiddetto Termidoro stalinista? Che cosa significa essere un sopravvissuto e un testimone, l’ultimo uomo vivo prima del crollo, e osservare oggi le macerie dei sogni collettivi?
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