Cicatrici ha una sua potente unicità: prendere ciò che vediamo come un difetto o una debolezza e renderlo arte, con un gesto fortissimo, come un pugno nello stomaco.
Ci siamo mostrati per quello che siamo, esseri umani con imperfezioni, diversità e preoccupazioni. Eppure siamo capolavori: le nostre cicatrici, visibili e non, ci rendono unici, ci rendono Noi.
L’arte ne è l’esempio più evidente: la Venere di Milo non ha le braccia, eppure è considerata l’epitome della perfezione, la Nike di Samotracia non ha più la testa, ma è tra le opere più viste al Louvre. Ci sforziamo tanto nel trovare la bellezza in ogni cosa, perché non trovarla anche nelle nostre cicatrici? La frase “Sei come i fiori che nascono tra le crepe del cemento” è la perfetta metafora per la mia Venere, per la mia cicatrice. Spesso vittima di bullismo, sono stata esclusa e diventata quasi invisibile agli occhi degli altri, ma non ho voluto spezzarmi. Sono stata ferita nell’animo e lasciata coperta di cicatrici, le stesse da cui sono ripartita. Con la mia Venere ho voluto enfatizzare come dalle crepe nel marmo possano nascere rami d’edera e fiori, a simboleggiare che anche dalle rovine può rinascere bellezza.