A lungo la critica ha assegnato a Moretto l’epiteto di “Raffaello bresciano”, per l’ordine formale e la diligenza di esecuzione che il maestro di Brescia esibisce nella sua produzione pittorica. Anche il Ritratto di gentildonna come Salomè evidenzia alcuni caratteri comuni all’urbinate, a partire dall’idealizzazione della figura che, per quanto desunta dal vero, è trasfigurata in termini di grazia e raffinatezza in un’entità fuori dal tempo. Allo stesso tempo, però, Moretto non tradisce la sua indole di pittore lombardo, come evidenzia il realismo tattile delle vesti, bagnate dalla luce che spiove da sinistra e vivificate da un’esecuzione corposa. Si osservino il purpureo mantello di velluto, la pelliccia cangiante e il velo annodato alla spalla, che innesca raffinati giochi di trasparenze. L’iscrizione sul parapetto e l’attributo iconografico dell’alloro sullo sfondo identificano la figura come Salomè, nella quale la tradizione vuole riconoscere un ritratto della poetessa Tullia D’Aragona.
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