Uomo di squisita gentilezza e di schiva ma fortissima inclinazione artistica, Carlo Bondioli insegnò a lungo a bambini e ragazzi cercando di descrivere con parole semplici le tecniche e le strutture della grande arte del Novecento. Amava in particolare il puntinismo, il divisionismo, Morandi. In una parola, coloro che si confrontarono, grazie ad un ardore quasi scientifico, con il mistero della luce e dei mezzi per coglierla. L’artista prediligeva vedute semplici, della sua città o del paesaggio circostante, umili disposizioni di oggetti che gli ricordavano ovviamente il magistero del grande bolognese. Eccelleva nelle tecniche di incisione, o nelle chine che di queste incisioni erano lo specchio, in cui con mano leggerissima allineava righe sottili l’una accanto all’altra, creando feritoie luminose che magicamente costruivano forme. L’opera che qui vediamo appartiene ancora alla prima parte della sua avventura artistica. Una pennellata quasi irruente definisce i fiori, la verdura, la frutta che attorniano la morandiana lampada azzurra. Ma il risultato è troppo personale per essere ascritto a qualche corrente. In seguito, e nell’ultima parte della sua lunga vita, Bondioli realizzerà sul foglio magnifiche vedute quasi giapponizzanti, ritratti silenziosi del mondo fluttuante, bellezze metafisiche in cui l’universo si decanta.