La performance consisteva nella rilettura delle rovine romane in uno scheletro contenuto in esse. L’arena diventa la testa, le colonne sdraiate le costole e i pilastri mozzati diventano le braccia che corrono lungo i fianchi. Con la farina ho disegnato nell’interno dell’immagine emersa il cervello che scivola verso l’intestino e con un megafono ho raccontato al pubblico del Palatino la storia di questa identità perduta.