I volti di GAM Milano

Un percorso nel ritratto tra '800 e '900 dalle collezioni della Galleria d'Arte Moderna di Milano

Ritratto della contessina Antonietta Negroni Prati Morosini (1858/1858) di Francesco HayezGalleria d'Arte Moderna - Milano

Ritratto della contessina Antonietta Negroni Prati Morosini.

Il dipinto fu commissionato dal padre dell’effigiata, il conte Alessandro Negroni Prati
Morosini, e faceva parte di una serie di ritratti celebranti le due famiglie
Morosini e Negroni Prati, tra loro imparentate. La contessina Antonietta
Negroni Prati Morosini compare al centro di uno sfondo elegante ma disadorno, ravvivato da una sontuosa natura morta di fiori multicolori, che sembrano fondersi col mazzo che lei stessa porta in grembo e con la peonia recisa posata accanto ai suoi piedi. Uno degli elementi di fascino del dipinto, oltre alla fusione di ritratto e natura morta, consiste nella naturalezza dello sguardo e dell’atteggiamento della bambina. Per evitarle lunghe e faticose sedute di posa, Hayez ricorse infatti
all’utilizzo di fotografie, alcune delle quali sono tuttora conservate presso il Fondo Hayez della Biblioteca Nazionale Braidense.

Il volto della bimba mantiene quell’espressione di smarrimento e di goffaggine, comprensibile in una piccola di appena quattro anni costretta a rimanere a lungo in piedi immobile durante il lungo processo di impressione fotografica che imponeva la tecnica di quell’epoca. L’artista non preoccupò di rendere l’immagine meno realistica o di nobilitarla, infondendole così una freschezza inconsueti nella ritrattistica infantile di quegli anni: ma proprio questa caratteristica “fotografica” dell’opera era risultata sgradita alla critica. Due disegni, per la figura della contessina e per la magnolia ai piedi del grande vaso, si trovano presso il Gabinetto dei Disegni dell’Accademia di Belle Arti di Brera.

Il volto della bambina fu ripreso da Hayez da fotografie d'epoca, per evitare alla contessina di soli 4 anni, di stare a lungo tempo in posa.

Dettaglio della peonia recisa ai piedi della contessina

Ritratto della contessa Antonietta Negroni Prati Morosini (1871/1872) di Francesco HayezGalleria d'Arte Moderna - Milano

Ritratto della contessa Antonietta Negroni Prati Morosini

Questa tela ovale, capolavoro tardo della ritrattistica hayeziana, mostra la contessa Antonietta Negroni Prati Morosini, che quattordici anni prima Hayez aveva ritratto
bambina, in un dipinto esposto oggi nella stessa sala della Galleria d’Arte Moderna e come quest’ultimo giunto nelle collezioni del museo nel 1935, per dono di Anna Cristina del Mayno Casati. Antonietta, figlia primogenita di Giuseppina Negroni Prati Morosini ─ amica di Hayez ─ aveva ricevuto dall’artista i primi rudimenti di pittura, assieme alla sorella minore Luigia. La ragazza è ritratta in un’ambientazione raccolta e domestica, dominata dalla grande sedia caratterizzata dai toni caldi del legno dorato e della seta gialla. Antonietta porta una veste azzurra ricca di decori e sfiora appena la rosa poggiata in grembo: nel fiore sciupato si è letta un’allusione al trascorrere inesorabile del tempo. Come testimoniato dall’epistolario del pittore, il ritratto dovette costargli notevoli fatiche, data anche la sua età avanzata (era ormai ottantenne) e per le numerose sedute, necessarie per rendere ogni dettaglio nel migliore dei modi. Presso l’Accademia di Belle Arti di Brera sono conservati due studi, uno per l’insieme della figura e l’altro per il dettaglio d’ambiente della
poltrona.

Lo sguardo della contessa Antonietta è vacuo, il corpo consumato dalla malattia.

La stessa peonia del ritratto della contessa bambina compare qui sfiorita, metafora della caducità dell'esistenza umana.

Ritratto di Alessandro Manzoni (1874/1874) di Francesco HayezGalleria d'Arte Moderna - Milano

Ritratto di Alessandro Manzoni

Questa è l’immagine più diffusa e popolare dello scrittore
milanese, tale da oscurare con la sua fama il primo dei ritratti ufficiali
manzoniani, dipinto in tono celebrativo nel 1835 da Giuseppe Molteni, dove
Manzoni era immortalato in posa ispirata, con un libro in mano sullo sfondo del
lago di Como.

Qui invece ─ su precisa indicazione della moglie Teresa e
del figliastro Stefano Stampa ─ Manzoni è seduto contro uno sfondo neutro in
una posa naturale, in verità ottenuta con ben quindici faticose sedute, per una
resa perfettamente aderente al vero. Lo scrittore tiene in mano una scatola per
il tabacco da fiuto, traccia di un’abitudine domestica e tutta privata,
consegnata così alla dimensione della Storia e dell’aneddotica del grande uomo.

Il dipinto della Galleria d’Arte Moderna è una replica totalmente
identica, anche nelle dimensioni, del celebre ritratto manzoniano realizzato da
Hayez nel 1841 e conservato alla Pinacoteca di Brera. La replica venne eseguita
per essere mostrata all’esposizione braidense del 1874 e poi donata dall’autore
all’Accademia di Brera, dalla quale passò per deposito nel 1902 a questo Museo.
Il dipinto riscosse un grande apprezzamento nella cerchia di intellettuali
dell’epoca ma non ebbe immediato successo al di fuori dell’entourage di
Manzoni: fu per merito di Stefano Stampa, che promosse la traduzione
calcografica dell’opera tramite sottoscrizione, che essa si affermerà come
immagine tipica e riconoscibilissima dell’autore dei Promessi Sposi.

Dettaglio della tabacchiera

Ritratto della cantante Matilde Juva Branca (1851/1851) di Francesco HayezGalleria d'Arte Moderna - Milano

Ritratto della cantante Matilde Juva Branca

L’enigmatico e austero sguardo catturato da Francesco Hayez,
è quello di Matilde Branca, maritata Juva: la donna era una cantante lirica,
condividendo il talento musicale con le sorelle Luigia (mezzosoprano), Emilia
(arpista) e Cirilla (pianista). Ella fu anche nota personalità di spicco del
salotto del padre, Paolo Branca, celebre luogo d’arte e d’intelletto che il
famoso compositore d’opera Gaetano Donizetti definiva «il tempio della musica».

L’opera fu
commissionata dal marito Giovanni come péndant
al suo ritratto eseguito in quello stesso 1851 dal pittore Mauro Conconi
(allievo dello stesso Hayez). È considerata uno straordinario capolavoro della
ritrattistica ottocentesca per l’accurata introspezione psicologica e la
perfetta risoluzione formale, tesa a recuperare la tradizione del ritratto
cinquecentesco veneto.

L’impostazione della figura, colta di tre quarti, con il
braccio poggiato sulla sedia sopra cui è steso il manto di ermellino, genera un
susseguirsi di piani che dilatano lo spazio del dipinto; al centro della tela,
la severa figura della donna avvolta in preziose vesti di seta nera da cui
fuoriescono, a contrasto, i pizziche ne incorniciano il volto e le mani. Ed è
proprio la mano che regge il guanto, nel primo piano del dipinto, a palesare
l’omaggio di Hayez a Tiziano, ricollegandosi con esplicita evidenza a L’uomo col guanto (Parigi, Musée du Louvre) e L’uomo dagli occhi glauchi (Firenze, Galleria Palatina).

Il ritratto di Matilde è stato scelto per la copertina del catalogo 2017 delle collezioni della Galleria d'Arte Moderna, edito da Officina Libraria.

Dettaglio della mano che sporge dal delicato pizzo della manica e stringe il lussuoso guanto di pelle.

I figli del principe Troubetzkoy con il cane (1874/1874) di Daniele RanzoniGalleria d'Arte Moderna - Milano

I figli del principe Troubetzkoy con il cane

Quest’opera, presentata alla mostra annuale di Brera del 1874, figura tra le più riuscite di Daniele Ranzoni, artista che insieme a Tranquillo Cremona raccoglie l’eredità pittorica della Scapigliatura milanese. Pietro, Paolo e Luigi ─ i tre figli dell’ambasciatore russo Pietro Troubetzkoy ─ vengono ritratti assieme al loro cane all’interno della serra della villa di famiglia, a Ghiffa sul lago Maggiore. L’artista presceglie un approccio confidenziale ai soggetti, evitando le rigide pose ufficiali per dare maggiore risalto alla vitalità dei tre bambini: essi sembrano affacciarsi all’incorniciatura ovale della tela, osservandoci curiosi e svelando espressioni vispe e quasi impertinenti. L’impressione è quella di osservare un’istantanea fuori fuoco, in cui gli abiti e la postura dei protagonisti sono riconoscibili da dettagli appena accennati, appiattiti su di uno sfondo privo di profondità spaziale.

Giovinetta in bianco (1885/1885) di Daniele RanzoniGalleria d'Arte Moderna - Milano

Giovinetta in bianco

Nel dipinto, appartiene all’ultima produzione di Ranzoni, prevale un’intonazione uniforme nell’uso del colore che non impoverisce la qualità dell’opera e invece ne esalta le variazioni tonali: una pittura di leggera e finissima tessitura, come se fosse applicato un filtro che attenua i contorni ma da cui la figura emerge solida.

Ad incuriosire è però l’alone da bohème che a lungo ha dominato le letture iconografiche dell’opera. Il dipinto è appartenuto alla critica d’arte Margherita Sarfatti, che così la descriveva «Pure di quell’anno è il sottile e ineffabile ritratto di giovinetta, della raccolta Sarfatti. Dipinta a toni di bianco-grigio e di grigio-nero, è la grande, fremida figura di una giovinetta febbricitante, la quale poco dopo morì tisica, e qui è già fuori dalla vita. Eppure non ha in sé nulla di lugubre, tutta fantasiosa e delicata, pare una bionda regina di fiaba, una squisitamente amata fanciulla di sogno»

Treccia bionda (1891 c.) di Giovanni BoldiniGalleria d'Arte Moderna - Milano

Treccia bionda

L’opera è generalmente datata agli inizi degli anni Novanta,
periodo in cui Boldini si era già trasferito a Parigi, per la pittura scomposta
e di getto: questa vaghezza di tratto risente, oltre che dell’esempio della
coeva pittura impressionista, della conoscenza approfondita della tecnica chiaroscurale
di Frans Hals, al quale Boldini si deve essere avvicinato durante un viaggio ad
Amsterdam del 1876.

A differenza di molti ritratti femminili dell’artista, in
cui la figura intera è funzionale a mostrare tutti i dettagli degli eleganti ed
elaborati abiti delle ritrattate, in questo dipinto la figura è limitata al
solo busto. Il volto ovale di questa fanciulla, di cui non conosciamo
l’identità, emerge con forza nell’incarnato materico e corposo dai toni rosei;
mentre lo sfondo e la veste si sfaldano, il primo in sfumature terrose e in una
pittura pastosa a lunghe sciabolate di colore, la seconda in pennellate quasi
trasparenti di tono madreperlaceo. Altri elementi cromatici di risalto sono la
capigliatura biondo-fulva della donna, che dà il titolo alla tela, e il mazzo
di piccoli fiori bianchi alle sue spalle. L’eleganza femminile aristocratica e
preziosa, con cui Boldini ritrae il soggetto può essere assimilato a quello
degli artisti della più eletta ritrattistica internazionale della high society, incarnata da pittori
europei ed americani come John Singer Sargent, James Mc Neill Whistler,
Giuseppe De Nittis, Max Liebermann, Franz von Lenbach e numerosi altri.

Boldini divenne uno dei più ricercati ritrattisti della borghesia Parigina per la freschezza e personalità che sapeva infondere nei volti, specie femminili.

L’Americana (Giovane signora americana) (1900 - 1903 c.) di Giovanni BoldiniGalleria d'Arte Moderna - Milano

L’Americana (Giovane signora americana)

La fama di Giovanni Boldini era già arrivata oltreoceano
quando il pittore ferrarese sbarcò a New York il 20
novembre 1897. Accolto e celebrato negli ambienti mondani della capitale
americana, qui espose presso una galleria sita al nr. 303 della Fifth Avenue, opere
importanti, come il ritratto della Principessa Poniatoski (americana di
origine), di Whistler, di Mrs. Stanford White, di Emiliana Concha de Ossa (il
celebre Pastello bianco) e il
pastello di Verdi. Il soggiorno non si concluse però bene per Boldini, che
contrasse una polmonite, in seguito alla quale fece ritorno a Parigi.

Il grande pastello conservato presso la Galleria
d’Arte Moderna, inizialmente datato in coincidenza col viaggio negli Stati
Uniti è stato posticipato per motivi stilistici attorno al 1900-1903. Vi è rappresentata una
giovane signora americana, seduta su di un alto canapè di quelli sovente
utilizzati dall’artista per la posa delle sue modelle, la quale appare ben
definita solamente nel volto, che anche cromaticamente si stacca dal resto
della composizione. Nella resa della figura, l’abito e le braccia nude sono
definiti da pochi rapidi tratti di pastello nero ed i contorni ─ in particolare
nella parte inferiore ─ sono come moltiplicati, a voler rendere una sensazione
di movimento e di instabilità, la resa di un attimo leggero e palpitante di
vita.

In questo pastello Boldini delinea con più accuratezza solo il volto della giovane americana, preso di tre quarti, mentre l'abito viene solo accennato con rapidi tratti.

Femme aux pompons (1880/1881) di Giuseppe De NittisGalleria d'Arte Moderna - Milano

Femme aux pompons

Il pastello, tecnica al cui recupero da parte dei pittori
impressionisti De Nittis diede un contributo essenziale, è trattato con grande
sicurezza e mostra l’influenza delle stampe giapponesi, per lo stagliarsi della
figura piatta ritagliata contro il fondo lontano e invaso di luce, su cui sono
appena accennate le figure dei passanti, secondo un modulo ripetuto anche nei
contemporanei dipinti a olio come Giornata
di neve, Donna con la veletta o Presso il lago (Barletta, Pinacoteca
Giuseppe De Nittis). La seducente figura femminile è descritta con una
definizione minuziosa e un’attenzione particolare al frusciante abito che ne
inguaina la figura sottile e all’espressione enigmatica del volto nascosto
dalla veletta.

L’opera, appartenuta ad Angelo Sommaruga ─ e poi passata in
collezione Grassi nel 1934 ─ fu esposta per la prima volta alla mostra di
pastelli del Cercle de l’Union Artistique della place Vendôme di Parigi nel
1881: ne discende una datazione di poco precedente l’esposizione, oscillante
tra il 1880 e il 1881 e coerente con i caratteri stilistici dell’opera.

≪L’atteggiamento di sfinge di questa donna velata che, girandosi verso il pubblico, gli artigli rosa dissimulati sotto dei guanti neri, sembra porgli un enigma poco temibile≫
(Lostalot 1881, p. 164)

Portrait de M. Arnaud à cheval (Ritratto di Michel Arnaud a cavallo) (1875/1875) di Edouard ManetGalleria d'Arte Moderna - Milano

Portrait de M. Arnaud à cheval (Ritratto di Michel Arnaud a cavallo)

Nei primi anni Settanta dell’Ottocento Manet si cimentò con
il genere del ritratto equestre. Il risultato fu un gruppo abbastanza omogeneo
di opere, tra cui oltre a quello del signor Arnaud alla Galleria d’Arte Moderna
di Milano si annovera il Ritratto del
pittore Émile Guillaudin a cavallo (Deaborn, Michigan, collezione privata)
e il
Ritratto di Marie Lefébure a cavallo (Museu de Arte de São Paulo).

Tutti e tre i dipinti raffigurano esponenti dell’alta
borghesia parigina, ma Il ritratto equestre del signor Arnaud sembra
discostarsi dalle tele precedenti, a partire dalle misure e dal taglio
dell’immagine: un dipinto di dimensioni quasi doppie, di formato verticale e
nel quale il cavallo compare a figura intera. Michel Arnaud era un imprenditore
parigino, collezionista occasionale di dipinti impressionisti e grande
appassionato d’equitazione, motivo per
cui probabilmente Manet lo ritrasse in sella al suo destriero.

Non sappiamo quali rapporti intercorressero tra l’effigiato
e l’artista, ma è probabile si siano conosciuti nello stesso 1875, anno di
realizzazione del dipinto: intuiamo però che Manet aspirava
alla realizzazione di un ritratto ufficiale, contraddistinto da un’aura di
solennità. Il dipinto, rimasto incompiuto ─ una foto d’epoca ci mostra come il
paesaggio fosse lasciato allo stato di abbozzo e le zampe del cavallo appena
suggerite ─ fu custodito nell’atelier dell’artista fino alla sua morte.
Acquistato dal pittore Max Liebermann (1847-
1935), si ipotizza che fu proprio quest’ultimo a intervenire sul
dipinto, integrando il quadro e apponendo una firma fittizia. Infine nel suo stato attuale, la tela fu
acquistata nel 1936 da Carlo Grassi attraverso la galleria berlinese
Thannhauser.

Primo piano del volto del signor Arnaud, con gli occhi appena abbozzati a matita e l'alto cilindro calzato sulla testa.

Portinaia (Concierge; Impression d’une concierge) (1883/1884) di Medardo RossoGalleria d'Arte Moderna - Milano

Portinaia (Concierge; Impression d’une concierge)

La Portinaia fu modellata probabilmente nel 1883, data riportata da Rosso, o al più tardi nel 1884, come proposto da alcuni studi novecenteschi, prendendo a modello la “sciora Orsola”, portinaia dello stabile in cui l’artista abitava in via Montebello a Milano, che, rinserrata nella sua guardiola, finì per costituire una vera e propria ossessione per lo scultore.

Rosso realizzò almeno dodici repliche di questo soggetto, poiché considerava questa scultura ─ rimeditazione dell’appena precedente Sagrestano ─ come punto di svolta nella sua poetica, nella definizione del punto di vista unico e della rappresentazione di un’impressione fugace.

Questa fu l’unica opera che lo scultore donò alla Galleria d’Arte Moderna di Milano, nel 1922, in una fusione di cera chiarissima. I registri del museo riportano che l’opera fu sostituita da Francesco Rosso alla fine del 1952 perché «distrutta per gravi lesioni», causate forse dallo sfollamento durante la guerra; in realtà Francesco recuperò l’opera danneggiata, la restaurò e la portò nel Museo Rosso di Barzio; e in seguito se ne sono perse le tracce. In cambio donò al museo milanese il bronzo della Ruffiana e questa fusione in cera, realizzata sotto la sua direzione, come si ricava da una lettera di Costantino Baroni a Francesco Rosso del 10 novembre 1952 e dagli atti del Comune di Milano del 17 novembre 1952 e del gennaio 1953.

Henri Rouart (1913/1913) di Medardo RossoGalleria d'Arte Moderna - Milano

Henri Rouart

Henri Rouart (1833-1912) ─ industriale e collezionista, pittore e sostenitore degli impressionisti ─ conobbe Rosso nel gennaio 1890, come testimoniano numerose fonti, le quali restano però in disaccordo sulle modalità dell’incontro tra i due. Sappiamo solo con certezza che Rouart acquistò da Rosso le copie della Frileuse e del Niccolò da Uzzano, Gavroche e Bambino ebreo ed ospitò lo studio dello scultore nella sua fabbrica in boulevard Voltaire, dove questi ne realizzò il ritratto.

L’originale in gesso venne modellato nel 1890 e si trova ora al Museo Rosso di Barzio, mentre un altro gesso, ma con il piano di portata, si conserva ad Anversa: infine la versione in bronzo venne fuso lo stesso anno a Parigi, ma Rouart non lo ritirò mai dallo studio di Rosso e alla sua morte passò al figlio Louis (oggi Winthertur, Kunstmuseum). Forse in questa occasione Rosso ne realizzò la versione in cera nera della Galleria d’Arte Moderna, che nel 1914 fu inviata alla Biennale di Venezia. Quest’opera, dopo aver presenziato a numerose esposizioni a Milano ed aver fatto parte dell’allestimento del Museo Rosso di Barzio, passò nella proprietà di Gianni Mattioli (1903-1977) prima e di Virginio Ghiringhelli (1898-1964) poi, per essere infine acquistata dal museo nel 1953, in occasione dell’importante lascito di Francesco Rosso.

Ritratto della madre (Mia madre) (1907) di Umberto BoccioniGalleria d'Arte Moderna - Milano

Ritratto della madre (Mia madre)

Il dipinto venne realizzato da Umberto Boccioni nel 1907 a
Padova, dove l’artista raggiunse la madre e la sorella che lì soggiornavano e
dove rimase fino all’aprile dello stesso anno, prima di spostarsi a Venezia.
Durante il soggiorno padovano il pittore portò a compimento altre due opere, Ritratto di Virgilio Brocchi e Ritratto della pittrice Adriana Bisi Fabbri,
che con la tela della Galleria d’Arte Moderna condividono il taglio fotografico
dell’immagine – mutuato dall’insegnamento di Giacomo Balla – e un formato
inconsueto, con tele di forma orizzontale in cui Boccioni sposta lateralmente i
soggetti raffigurati. Diverso invece è l’approccio stilistico nei tre dipinti:
in quello della cugina Bisi Fabbri, colta in esterno, la scelta ricade sul
divisionismo ─ debitore ancora una volta della pittura del romano Balla ─ mentre
negli altri due l’esecuzione è più vicina alla ritrattistica di matrice europea;
improntata su modelli diffusi in Francia, a Monaco e nel nord Europa.

Sia nel Ritratto della madre sia nel Ritratto di Virgilio Brocchi infatti, le
figure, riprese in interno, sono costruite attraverso una pennellata sciolta,
di matrice post-impressionista; un linguaggio pittorico che Boccioni ha
assorbito attraverso i suoi viaggi e visitando le Biennali veneziane.

Il volto pensoso della madre è dipinto da Boccioni con rapide pennellate di colore, senza marcatura del contorno.

Riconoscimenti: storia

GAM Milano desidera ringraziare Google Cultural Institute per la fruttuosa collaborazione realizzata tra i due enti per questo progetto. Riteniamo che la fruizione delle opere d'arte in alta definizione, libera e accessibile ad un pubblico internazionale sia la nuova frontiera della comunicazione web 2.0. Un ringraziamento speciale va alla dott.ssa Ilaria Gozzi, assistente di Direzione, che ha curato la realizzazione del progetto in tutte le sue fasi, e alla sig.ra Marivanna Torre, responsabile delle relazioni esterne. Un imprescindibile ringraziamento va anche al dott. Omar Cucciniello e al dott. Alessandro Oldani, conservatori della Galleria d'Arte Moderna.

Ringraziamenti: tutti i partner multimediali
In alcuni casi, la storia potrebbe essere stata realizzata da una terza parte indipendente; pertanto, potrebbe non sempre rappresentare la politica delle istituzioni (elencate di seguito) che hanno fornito i contenuti.
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