Zandomeneghi e Spadini, pittori non mantovani di primaria importanza, vedono qui esposte alcune opere di particolare significato. Entrambi piegano la luce a costruire forme: Zandomeneghi mantenendo una forte qualità strutturale delle figure, Spadini bagnando di colori vivi e diffusi i suoi personaggi, colti nell’intimità della vita quotidiana.
Un impressionista veneziano
Il cuore della collezione d’arte moderna di Palazzo Te è costituito dalla donazione Arnoldo Mondadori (2 novembre 1889, Poggio Rusco- 8 giugno 1971, Milano). Il celebre editore, nato nella provincia mantovana, decise di donare le opere di Federico Zandomeneghi e Armando Spadini ad una istituzione pubblica, nel caso in cui fosse impossibile creare una galleria a Segrate, sede della sua impresa. Dopo la sua morte, la moglie Mimma Berardi decise insieme ai fratelli di lasciare questo patrimonio al Museo di Mantova, città dove era stata fondata nel 1907 la casa editrice che sarebbe divenuta la maggiore del ventesimo secolo. Palazzo Te ospitò dunque nel 1974 la mostra di un primo nucleo della donazione, quindi nel 1983 l’esposizione completa delle opere. Attorno a questi quadri si svilupparono i lasciti di altri artisti moderni, principalmente mantovani. Il destino volle che Arnoldo Mondadori improntasse tutta la futura collezione al suo gusto. Una pittura intimista, quasi domestica, costruita con i valori della luce, vicina anche se non identica alla grande esperienza impressionista francese. Federico Zandomeneghi, sensibilissimo interprete veneziano della pittura di luce, mostrain questa opera tutta la sua capacità di illustrare, in chiave quasi fiabesca, la semplice vita di tutti i giorni. Egli, che si trasferì a Parigi nel 1884, divenendo amico personale di Renoir e Degas, ebbe l’onore di partecipare nel 1879 e in altre tre occasioni alle otto celebri esposizioni degli impressionisti, a cui venne per sempre collegato.
Al caffè (Femme au bar) di Federico ZandomeneghiPalazzo Te
È forse questa l’opera più celebrata dell’autore. La scena è ovviamente parigina, specchio della vita mondana spicciola della Francia degli anni ottanta dell’ottocento., Il dipinto è datato 1884.
Zandomeneghi eccelle nel ritratto, e fa della donna velata seduta in primo piano un capolavoro di sottile seduzione e di sintesi di gusto.
Uun uomo beve, di un altro si vede soltanto la mano.
Spiccano le labbra rosse, il grande fiore sull’abito scuro, i lunghi guanti di colore giallo. Intorno a lei, che sembra felice d’essere in posa, baciata da una sensualità soffusa, appaiono le ombre degli altri avventori.
Il mazzo di fiori (La fête) di Federico ZandomeneghiPalazzo Te
Questo dipinto del 1894 è particolarmente vicino alla sensibilità di Pierre-Auguste Renoir (1841 - 1919). Di Renoir ha infatti il pallore rosato che domina il volto e il vestito della bambina, quasi schiacciata da un mazzo di fiori troppo pesante, ma in perfetto equilibrio compositivo, tra la grande zona del marciapiede completamente vuota e la parte superiore, macchiata di petali multicolori.
Nello studio del pittore (Dans l’atelier) di Federico ZandomeneghiPalazzo Te
Caratteristica fondamentale di Zandomeneghi è dipingere come se disegnasse a pastello.
Gli elementi costitutivi della sua pittura sono linee colorate, lunghe o brevi, giustapposte e talvolta intrecciate tra loro.
Altra sua particolarità è bloccare le figure in una specie di quieta estasi, che le rende completamente partecipi dell’attimo. In questo dipinto del 1896, una signora dal cappello fiorito osserva rapita un’opera del pittore, appoggiandosi graziosamente ad un ombrellino.
Bellissimo il tappeto in primo piano, di cui si può quasi accarezzare la trama. Come sempre, negli interni di atelier, appaiono quadri sparsi in giro, appena abbozzati ma di grande efficacia.
Fantasticheria (Rêverie) di Federico ZandomeneghiPalazzo Te
La fanciulla assorta mostra la sua veste bianca e rosa davanti ad un bosco, intessuto di verde e di splendori a loro volta bianchi e rosa. In testa, a raccogliere i capelli, porta un fiocco rosso che rappresenta lo squillo cromatico dell’opera. L’impressionismo insegnò a Zandomeneghi l’arte di dividere i colori, abolendo il nero e rendendo quindi molto più luminose le tele.
Miette di Federico ZandomeneghiPalazzo Te
C’è molto dell’Italia in questo quadro, dipinto nei primi anni del ventesimo secolo. Non solo per il tricolore implicito nell’ opera, ma per le fattezze della ragazza che, in questo caso, avvicinano Zandomeneghi alle esperienze dei macchiaiuoli e in particolare di Giovanni Fattori (1825 - 1908). Invecchiando, l’artista sembra tornare alla classicità della sua nazione d’origine, senza però mai dimenticare la lezione luministica francese.
Bambina con fiori (Fillette portant de fleurs) di Federico ZandomeneghiPalazzo Te
La bambina sembra muoversi in uno spazio astratto, di colore grigio-azzurro. Il suo abitino sembra estrarre dal fondo questo azzurro, e renderlo brillante. Di nuovo azzurro è il fiocco tra i capelli rossi. Le mani tengono i fiori dal lungo gambo con devota intensità. Un piccolo capolavoro, dipinto verso il 1915, di grazia quotidiana e di fascino cromatico.
La ballerina (La grande danseuse) di Federico ZandomeneghiPalazzo Te
L’ovvio riferimento di questa opera del primo decennio del novecento è la pittura di Edgard Degas (1834- 1917). Il tema favorito del grande impressionista francese sono infatti le ballerine in ogni loro posa, spesso colte lontane dal palco, mentre si stanno agghindando o preparando al ballo. Questo è il caso della ragazza ritratta da Zandomeneghi, tutta intenta a confrontare se stessa con la propria immagine immersa nello specchio. Se mancano qui la grazia e il movimento di Degas, il ritratto resta efficace, seppure completamente immobilizzato, grazie al contrasto di colore tra le calze accese di rosa e l’azzurro del tutù. Belli sono inoltre i due dettagli: da un lato lo specchio, quasi meccanico, dall’ altro la tenda di bellissimo tessuto. Così la figura è inquadrata nella sua particolare scena.
Cavolfiore di Federico ZandomeneghiPalazzo Te
Questa opera datata 1917 mostra l’interesse degli impressionisti e di Zandomeneghi nei confronti del tema della natura morta, seppure episodicamente trattato. Come insegnano i dipinti di Manet, in questo caso le apparenze delle cose vanno quasi disfatte, trasformando ad esempio l’ortaggio in questione in una esercitazione di pennellate e colori che nobilitano con il loro tratto il nulla.
Mele (Nature morte: pommes) di Federico ZandomeneghiPalazzo Te
Molto più attenta ai valori formali è questa opera, in cui i frutti servono, come ad esempio accade in Cezanne, per creare volumi e confrontare luoghi di colore diverso. Zandomeneghi viene spesso accusato di una certa legnosità nel tratto. Ma la sua arte consiste anche nell’immobilizzare eternamente i dettagli della vita, trasferendoli quasi all’interno di uno specchio senza fine. Considerando però la superficie della tela, si scoprirà di nuovo la sua pennellata vibrante che sceglie e compone continuamente le tinte, ricavandole dalla luce, certamente una luce più veneziana che parigina.
Maternità di Armando SpadiniPalazzo Te
Maternità
Il fiorentino Armando Spadini è considerato il capostipite della Scuola Romana. Nella sua non lunga vita partecipò ad una importante serie di esposizioni in Italia, ed in particolare ebbe
l’onore di una sala personale a lui dedicata dall’Esposizione Internazionale
d’Arte di Venezia del 1924.
La sua pittura ha un tema favorito: i bambini e le madri, che egli ritrae con un tocco decisamente
post-impressionista, creando figure quasi dal nulla, arricchite da una capacità
coloristica superba. In questa opera del 1911, il bambino assopito si appoggia
al seno della madre felice, in una rappresentazione borghese che fa
dell’intimità esibita il suo punto di forza.
Gruppo di famiglia di Armando SpadiniPalazzo Te
Anche Spadini, pur avendo scarse frequentazioni fuori dall’Italia, è ben consapevole del lascito della pittura impressionista. In questo gruppo, composto da madre, figlio, figlia e cameriera, egli disfa le sembianze dei corpi e delle vesti in un vortice appunto di impressioni, che non può non ricordare Renoir. Ma siamo già nel secondo decennio del novecento. L’avveduto artista inventa tratti e movenze tipiche del post-impressionismo. Lo vediamo nelle lunghe braccia della madre e nella fantasia delle decorazioni floreali della tappezzeria, che si torcono in modo innaturale ad abbracciare i personaggi.
Bambino con il piatto di frutta di Armando SpadiniPalazzo Te
Nel caso di Spadini, è difficile distinguere tra gli abbozzi e le opere compiute. In ogni caso, egli ha la capacità di ritrarre l’infanzia per quel che è, un continuo mescolarsi di emozioni sincere, tra la felicità e lo smarrimento. Qui, il bambino sembra esplorare con occhi vivissimi la realtà circostante, mentre irrigidisce il suo corpo, seduto accanto ad un bellissimo piatto colmo di frutta, che illumina il quadro con i suoi colori accesi. L’opera è del 1913.
Bambina tra i fiori di Armando SpadiniPalazzo Te
Ecco uno dei capolavori del pittore, attribuibile agli anni intorno al 1915, che porta curiosamente sul verso della tela un abbozzo di gallina. Di nuovo, è Renoir il nome che viene alla mente. Potremmo parlare qui di impressionismo panico, perché la bambina si fonde mirabilmente con i fiori che lei sta per cogliere, e che sembrano accarezzare la sua giovinezza. Nel trionfo di colori, magnifico è l’ornamento dell’orecchio, che pare a sua volta fiorito e che spunta tra testa e capelli. Occhi e labbra sono tre fessure dipinte sopra un volto che sorride leggermente e che si perde in un’espressione fatta quasi solo di luce.
Bambini all'aria aperta di Armando SpadiniPalazzo Te
C’è nel pittore grande amore per l’infanzia, ma nessuna indulgenza alla retorica. Spadini è un artista che si richiama alla realtà. Lo dimostra quest’opera del 1915 in cui vengono ritratti due bambini, l’uno più piccolo e l’altro con qualche anno in più, mentre giocherellano pensosi in un parco. Gli alberi dietro di loro offrono lo sfondo ideale, tra luci verdi e ombre viola, per la rappresentazione di un’età sottilmente problematica. Così, il bambino di sinistra appoggia la sua manina al mento, mentre tiene con l’altra forse una palla, e guarda lontano, quasi per indovinare il suo futuro.
Bambino con ortaggi di Armando SpadiniPalazzo Te
Il fanciullo sembra esplorare con le sue mani gli ortaggi di vario tipo che qualcuno ha lasciato sopra la tovaglia. Qui le tonalità diventano forti, e il rosso viene a punteggiare tutta la tela, tingendo anche le guance del bambino, in contrasto con gli occhi azzurri e i folti capelli neri corretti da splendori blu. È lecito parlare di espressionismo, anche perché a sinistra in alto appare una zona fortemente sintetizzata dal colore, forse un armadio, che nulla ha più del riferimento visibile immediato tipico degli impressionisti.
Il mattino di Armando SpadiniPalazzo Te
Un altro capolavoro del 1918 che venne preceduto da uno studio con il medesimo nome, in cui non esiste il mazzo di fiori che qui vela pudicamente la madre. Opera di grandi dimensioni e di grande forza, in cui un bambino dal corpo già prestante guarda noi che lo ammiriamo. La donna, seduta sopra un letto magnificamente ornato da una tenda fiorita ed espressivamente arricchito da una coperta dipinta quasi ad onde, stringe ed accarezza il figlio, mostrando il vigore di un legame irresistibile e intatto. I critici dell’epoca parlarono di Rubens oltre che di Renoir, perché le fattezze dei personaggi di Spadini ricordano talvolta la sovrabbondanza del pittore fiammingo. Ma la dolcezza della scena è impagabile e vera.
Alberi a Villa Borghese di Armando SpadiniPalazzo Te
Il grande parco di Roma viene qui dipinto con grande felicità espressiva mostrando, dal basso verso l’alto, il verde dei prati e delle foglie sciogliersi nelle chiome quasi autunnali degli alberi più alti. A Spadini non interessano i volumi né l’esatta rappresentazione delle cose. Egli è tutto per l’espressione, per la vivacità e la verità del sentimento. Così, le sue tele sono spesso piccoli miracoli di equilibrio compositivo.
Nudo di Armando SpadiniPalazzo Te
Questa opera del 1918 rivela uno Spadini perfettamente partecipe della grande avventura dell’arte europea a lui contemporanea. Nella grazia e nella semplicità di questo nudo di donna, nella tappezzeria e nel letto dispersi in onde di colore, nella sintesi estrema del piatto di frutta, egli dimostra non solo di aver appreso la grande lezione di Manet, ma di avvicinarsi per sensibilità al trionfo della pittura di cui Henri Matisse è l’interprete principale. Una leggera sensualità appare nelle forme nude, che però rappresentano molto di più l’espressione assorta della fanciulla nel suo semplice e genuino mostrarsi.
Studio di figure di Armando SpadiniPalazzo Te
Anna, Andrea e Maria, tre dei figli di Spadini, sono i protagonisti di quest’opera, che appartiene agli ultimi anni di vita del pittore. Già ragazzi e non più bambini, guardano qualcosa o qualcuno che ci sfugge. Sembrano assorti ad ascoltare un racconto o una musica, ma non sapremo mai di cosa esattamente si tratta. Il pittore infonde movimento al gruppo, trasformando l’immobilità dei tre in un piccolo vortice di sensazioni che coinvolge anche le pareti della stanza in cui si trovano. I particolari dei corpi e delle vesti talvolta svaniscono, talvolta si impongono con forza, come avviene al nastro scuro che tiene i capelli di Anna e che costituisce il centro della composizione.
Gatti di Armando SpadiniPalazzo Te
Il gatto è forse l’animale domestico più vicino all’uomo per emozioni e sensibilità. Qui il pittore, a due anni dalla morte, ritrae una maternità felina con la stessa grazia che egli ha usato per i tanti suoi dipinti in cui appaiono madri e figli. I tre gattini si affollano intorno alla mamma gatta, che rimane in apparenza impassibile nella sua quieta fierezza. Diversi tra loro per il manto e le pose, i tre cuccioli sono un capolavoro di vivacità e di vita trionfante.
Testa di donna di Armando SpadiniPalazzo Te
Già ammalato, Spadini compone quest’opera raffigurando la moglie Pasqualina. Si tratta forse di una scena a tema sacro, poiché il pittore aveva dipinto anni prima un Ritrovamento di Mosè da porre in relazione con questa testa. In ogni caso, ci troviamo di fronte ad una pittura svanente e quasi severa, che sembra preludere all’accettazione della fine di un’esperienza di vita. Un volto bello e triste che mostra ancora una volta quella capacità di ritrarre le emozioni che fu la dote principale di Spadini, maestro del tocco e dei colori.
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con Lorenza Baroncelli (Assessore alla rigenerazione urbana e del territorio, marketing urbano, progetti e relazioni internazionali del Comune di Mantova )
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