Ahead of his exhibition at Palazzo Monti, Sebastiano Sofia asked me to write a short critic for him. After a few hours some images arrived that happily convinced me. The next day Sebastiano sent me some of his notes. When I read them I thought that if I had added my words to those notes I would have watered down the strength of a direct testimony. So I decided to just edit a few sentences and calibrate some concepts and their words. March 2019, Rovereto, Denis Isaia
These works are totems for me, representations of heroes and gods, like those who have always past civilizations. The graffiti on the caves, the African masks, the giants of Easter Island, the Greek or Roman statues.To do them I did not follow an idea, nor did I make preparatory drawings. I didn't even bother to understand how works can stand up. Let's say that I surrendered to a pictorial work. What I show is the precipitate of suggestions, flashes, transfigured or sublimated forms. What I see and what I feel.Drawing has accompanied me for many years (although very few have seen the drawings). For me it is a kind of psychic work. When I draw I am totally sincere, I abandon myself to all moods, I get caught up in passions. In these works I relied on the same feeling of sincerity. Basically I think they are three-dimensional drawings because I approached them with the same spirit with which I pick up the pencil and put it on the sheet. This forced me to neglect the technical problems, leaving them to surface in the work itself and in its final result.
At the beginning they were casts of bodies: a head, a breast or a pelvis. No matter. Then I started working with the material, adding and removing it and again returning to the shape with new layers, totally relying on the mood of the moment. At a certain point I listened to the results to understand if following my intentions I had been quite sincere.In making the sculptures, a large part depended on what I had at hand and on the moody predisposition in dealing with the matter. In days, I felt drawn into the work by strong sensations. On other days, however, I gave space to more prosaic and occasional matters. In moments of anxiety I dug with bare hands into the material without being able to detach my fingers from the shape. As a bravo, when I felt like a figure because I was dressed decently, I was careful not to get dirty, working with a chisel, but with a scalpel. When, however, the mood or anger prevailed, I gave my arms a voice, breaking what passed in my hands.After a few days I surrendered to the shape and started to create layers of color, taking care to leave the right space to chance. As I often do, I only used spray cans. Sometimes one color ate the other, leaving only dots of the previous one, other times the chemical differences in the composition of the paint opened surface cracks: some colors dripped, others remained proudly clinging, but then were covered by the next. In the certainty that something happens, however, I also used the colors I don't like, often because I didn't want to buy others. I like to let myself be led regardless, at least until I come to an aesthetic that makes me feel good.
When the corpus of works has grown sufficiently I stopped to look at them all together. The reasons for certain forms or certain obsessions continued to echo in my head along with the phrases of the androgynous myth of the Aristophanes Symposium. Shortly thereafter I came across an article that talked about sea anemones, primitive and stinging sea flowers that have both plant and animal DNA. These works are like them, of the forms that I would like to have overcome the dichotomy between what is certain and what is not. March 2019, Milan, Sebastiano Sofia
In vista della mostra a Palazzo Monti, Sebastiano Sofia mi ha chiesto di scrivere per lui una breve nota critica. Dopo qualche ora sono arrivate alcune immagini che mi hanno felicemente convinto. Il giorno dopo Sebastiano mi ha spedito alcuni suoi appunti. Quando li ho letti ho pensato che se avessi sovrascritto le mie parole a quelle note avrei annacquato la forza di una testimonianza diretta. Ho quindi deciso di limitarmi a limare qualche frase e tarare alcuni concetti e le loro parole.marzo 2019, Rovereto, Denis Isaia.
Questi lavori sono per me dei totem, delle rappresentazioni di eroi e di dei, come quelli che fanno da sempre le genti della terra. I graffiti sulle caverne, le maschere africane, i giganti dell’isola di Pasqua, le statue greche o quelle romane.Per farli non ho seguito un’idea, né fatto disegni preparatori. Non mi sono nemmeno premurato di capire come le opere possano stare in piedi. Diciamo che mi sono arreso a un fare pittorico. Ciò che mostro è il precipitato di suggestioni, flash, forme trasfigurate o sublimate. Quello che vedo e quello che sento.Il disegno mi accompagna da molti anni (anche se i disegni li hanno visti in pochissimi). Per me è una sorta di lavoro psichico. Quando disegno sono totalmente sincero, mi abbandono a tutti gli stati d'animo, mi faccio prendere dalle passioni. In queste opere mi sono affidato alla stessa sensazione di sincerità. In fondo credo siano dei disegni tridimensionali poiché mi sono mi avvicinato a loro con lo stesso spirito con cui prendo in mano la matita e mi metto sul foglio. Ciò mi ha obbligato a trascurare i problemi tecnici lasciandoli piuttosto affiorare nel fare stesso dell’opera e nel suo risultato finale.
All’inizio erano calchi di corpi: una testa, un seno o un bacino. Indifferentemente. Poi ho iniziato il lavoro con la materia, aggiungendola e togliendola e ancora tornando sulla forma con nuovi strati, affidandomi totalmente all’umore del momento. Ad un certo punto mi sono messo in ascolto dei risultati per capire se seguendo le mie intenzioni ero stato abbastanza sincero.Nel farsi delle sculture buona parte è dipeso da quello che avevo a portata di mano e dalla lunatica predisposizione nell’affrontare la faccenda. A giorni mi sono sentito trascinato nell’opera da sensazioni forti. Altri giorni invece ho dato spazio a faccende più prosaiche e occasionali. Nei momenti d’ansia ho scavato a mani nude nella materia senza riuscire a staccare le dita dalla forma. Da bravo, quando mi sentivo un figurino perché ero vestito decentemente, sono stato attento a non sporcarmi, lavorando di cesello, ma con il bisturi. Quando invece il malumore o la rabbia hanno avuto la meglio ho dato voce alle braccia spezzando quello che mi passava fra le mani.Dopo alcuni giorni mi sono arreso alla forma e ho iniziato a creare strati di colore badando però di lasciare al caso il giusto spazio. Come mi capita spesso ho usato solo bombolette spray. A volte un colore si è mangiato l’altro lasciando del precedente solo dei puntini, altre volte le differenze chimiche nella composizione della vernice hanno aperto delle crepe superficiali: alcuni colori colavano, altri rimanevano orgogliosamente aggrappati, ma poi venivano coperti dai prossimi. Nella certezza che qualcosa succeda comunque ho usato anche i colori che non mi piacciono, spesso perché non avevo voglia di comprarne altri. Mi piace lasciarmi condurre a prescindere, almeno finché arrivo a un’estetica che mi fa star bene.
Quando il corpus di opere è cresciuto a sufficienza mi sono fermato a guardarle tutte insieme. I perché di certe forme o di certe ossessioni continuavano a risuonarmi nella testa insieme alle frasi del mito androgino del Simposio di Aristofane. Poco dopo mi sono imbattuto in un articolo che parlava degli anemoni di mare, dei fiori di mare primitivi ed urticanti che possiedono sia il DNA vegetale che quello animale. Questi lavori sono come loro, delle forme che vorrei abbiano superato la dicotomia fra ciò che è certo e ciò che non lo è.marzo 2019, Milano, Sebastiano Sofia
ph. Gilberti Petrò
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